Архитектура Аудит Военная наука Иностранные языки Медицина Металлургия Метрология
Образование Политология Производство Психология Стандартизация Технологии


CAPITOLO SESTO – IL SEICENTO



1. IL VOCABOLARIO DELL’ACCADEMIA DELLA CRUSCA

L’Accademia della Crusca ebbe un’importanza eccezionale. Era un’associazione privata senza sostegno pubblico, poco adatta ad assoggettarsi a un’unica autorità normativa.

La Crusca portò a termine il disegno di restituire a Firenze il magistero della lingua e costrinse tutti gli italiani colti a fare i conti da allora in poi con il primato della città toscana.

La Crusca si indirizzò alla lessicografia dal 1591. In quell’anno gli accademici discussero sul modo sul modo di fare il Vocabolario e si divisero gli spogli da compiere, il cui elenco corrisponde a quello fornito da Salviati. Da Salviati gli accademici acquisiscono anche la caratteristica impostazione antibembiana secondo la quale gli autori minori e minimi erano giudicati degni, per meriti di lingua, di stare fianco fianco ai grandi della letteratura.

I meriti linguistici potevano accoppiarsi a una grande modestia della sostanza.

Al momento della realizzazione del Vocabolario Salviati era già morto, e nell’Accademia non vi era una figura che potesse raccoglierne l’eredità. Vi erano veri e propri dilettanti di giovane età, che condussero comunque un lavoro con una coerenza metodologica e un rigore che andavano al di là di tutti i precedenti. La squadra dei lessicografi andò formandosi da sé, e mantenne una notevole collegialità nelle sue scelte.

Il Vocabolario degli Accademici della Crusca uscì dunque nel 1612 presso la tipografia veneziana di Giovanni Alberti. Sul frontespizio portava l’immagine del frullone o buratto, lo strumento che si usava per separare la farina dalla crusca, con sopra, in un cartiglio, il motto “Il più bel fiore ne coglie”, allusivo alla selezione compiuta nel lessico.

Gli Accademici fornirono il tesoro della lingua del ‘300, esteso al di là dei confini segnati dall’opera delle Tre Corone, arrivando ad integrare con l’uso moderno.

Gli schedatori avevano cercato di evidenziare la continuità tra la lingua toscana contemporanea e l’antica. Le parole del fiorentino vivo erano documentate di preferenza attraverso gli autori antichi.

Il Vocabolario largheggiava nel presentare termini e forme dialettali fiorentine e toscane, come “assempro” per esempio, “manicare” per mangiare, etc.

Per quanto riguarda la scelta della grafia, invece, il Vocabolario si collocò sulla linea dell’innovazione, distaccandosi in buona parte dalle convenzioni ispirate al latino (le –h etimologiche e i nessi del tipo –ct), seguendo in ciò un aggiornamento gradito alla cultura toscana.

La fortuna del Vocabolario della Crusca è confermata dalle due edizioni che ebbe nel XVII sec.: quella del 1623 analoga alla prima del 1612, quella del 1693 composta da tre tomi al posto di uno, con un corrispondente aumento del materiale.

I lavori per questa riedizione durarono ben trent’anni, e alla fine risultarono decisivi i contributi di accademici quali Carlo Dati, Alessandro Segni, Francesco Redi, Lorenzo Magalotti e il giovane Anton Maria Salvini.

Il binomio Redi-Magalotti, costituito da due letterati-scienziati di primo piano, spiega la dura con cui la nuova Crusca diede contro del linguaggio scientifico, includendo peraltro Galileo fra gli autori spogliati.

2. L’OPPOSIZIONE ALLA CRUSCA

Il primo avversario dell’Accademia di Firenze fu Paolo Beni, professore di umanità nell’Università di Padova, autore di un’Anticrusca (1612) nella quale venivano contrapposti al canone di Salviati gli scrittori del ‘500, e in particolare il Tasso, il grande escluso dagli spogli del Vocabolario.

La maggior parte del trattato di Beni è dedicata a polemizzare contro la lingua usata da Boccaccio, indicandone le irregolarità e gli elementi plebei.

Alessandro Tassoni protesta contro la dittatura fiorentina sulla lingua, proponendo di adottare nel Vocabolario espedienti grafici per contrassegnare con evidenza le voci antiche e le parole da evitare. Tema fondamentale della riflessione del Tassoni è dunque l’improponibilità dell’arcaismo linguistico.

Daniello Bartoli, gesuita, scrittore molto noto per la sua elegante prosa, non fa una polemica diretta e violenta nei confronti del Vocabolario, ma riesaminando i testi del ‘300 sui quali si fonda il canone di Salviati, dimostra che proprio lì si trovano oscillazioni tali da far dubitare della perfetta coerenza di quel canone grammaticale.

Bartoli usa non di rado una pungente ironia nei confronti di ogni forma di rigorismo grammaticale.

3. IL LINGUAGGIO DELLA SCIENZA

La prosa del ‘700 deve molto allo sviluppo del linguaggio scientifico, che in questo secolo raggiunse esiti elevati, prima di tutto per merito di Galileo. Egli aveva scritto in italiano fin da quando aveva 22 anni, allorché aveva composto il breve saggio La bilancetta.

Egli aveva la volontà di staccarsi polemicamente dalla casta dottorale. Infatti, nella prefazione a Le operazioni del compasso geometrico e militare, aveva affermato di aver usato il volgare per raggiungere coloro che avessero più interesse per la milizia che per la lingua latina. Un intento divulgativo è quindi riconoscibile, così come la fierezza per la propria lingua, quella toscana.

Il latino assunse la funzione di termine di confronto negativo, a cui rivolgersi in una sorta di controcanto polemico: ciò è particolarmente evidente nel Saggiatore (1623), dove sono riportate le tesi dell’avversario scritte in latino e confutate in italiano.

Galileo, pure scegliendo il volgare, non si collocò mai al livello basso o popolare. Seppe raggiungere un tono elegante e medio, perfettamente accoppiato alla chiarezza terminologica e sintattica. Non rinunciò peraltro a mostrare in alcuni suoi scritti alcune macchie di lingua toscana, così come sarcasmo, boutade scherzose e paradossi.

Galileo raggiunse un grande rigore logico-dimostrativo e una eccezionale chiarezza linguistico-terminologica. Vi sono termini per i quali Galileo ha provveduto a fissare il significato in maniera univoca. Così il candore della luna: “questo tenue lume secondario, che nella parte del disco lunare non tocco dal Sole si scorge”.

Galileo, dunque, quando nomina e definisce un concetto o una cosa nuova, preferisce attenersi ai precedenti comuni ed evita di introdurre terminologia inusitata o troppo colta. Migliorini ha osservato come Galileo, più che alla coniazione di vocaboli nuovi, si affidasse alla tecnificazione di termini già in uso.

Si pensi allo strumento che egli nominò inizialmente come cannone o occhiale e che poi prese il nome di cannocchiale. Osserva ancora Migliorini che ogni qual volta troviamo un’invenzione galileiana designata con un nome dotto, possiamo asserire con quasi assoluta certezza che il nome fu foggiato da altri.

I grecismi si affermarono nel linguaggio della scienza fin dal XVII secolo: il barometro si chiamava inizialmente Tubo di Torricelli.

4. IL MELODRAMMA

L’Italia assunse per lungo tempo una posizione egemonica per ciò che riguarda la produzione di opere liriche. Il melodramma permette di affrontare la questione del rapporto fra parola e musica.

Il melodramma del primo ‘600 fu un tentativo di ricreare la tragedia antica.

Il rapporto tra musica e poesia era considerato stretto: tuttavia una semplice utilizzazione della poesia da parte dei musicisti ci permetterebbe solamente di affermare che il canto fu un ulteriore canale di diffusione dei modelli della prosa letteraria italiana.

Il rapporto fra la parola e la melodia fu affrontato in maniera più profonda e sistematica nel Dialogo della musica antica del 1581, in lingua italiana, da Vincenzo Galilei.

Il teatro del ‘500 era stato recitato, non cantato, e la musica era rimasta confinata negli intermezzi. Peri e Caccini, nella partitura nell’Euridice, diedero una svolta al canto, un canto che permetteva finalmente di comprendere il testo senza deformazioni.

Il melodramma si caratterizza come uno spettacolo di èlite, e questo ci aiuta a delimitare la sua influenza linguistica nella giusta dimensione, quella della corte.

La produzione di libretti, a partire dal ‘600, ebbe dimensioni quantitative strepitose. Il linguaggio poetico del melodramma si inserisce nella linea della lirica petrarchesca, rivisitata attraverso la memoria di Tasso, in particolare dell’Aminta.

Le concatenazioni di “e”, i giochi di opposizione (del tipo: “dove ghiaccio divenne il mio bel foco”), già tipici della lirica tassiana, si diffusero ulteriormente attraverso il melodramma, in cui si accentuò la propensione per la poesia cantabile, per i versi brevi, per le ariette.

5. IL LINGUAGGIO POETICO BAROCCO

Con Marino e il marinismo, a partire dall’inizio del ‘600, le innovazioni si fanno ancora più accentuate. Il catalogo degli oggetti poetici si allarga notevolmente.

Gli schemi metrici e le cadenze ritmiche sono ancora quelle petrarchesche.

La poesia barocca estende il repertorio dei temi e delle situazioni che possono essere assunte come oggetto di poesia, e il rinnovamento tematico comporta un rinnovamento lessicale. Si considerino i riferimenti botanici. Proprio Marino, accanto alla rosa, pone una serie di piante diverse, sovente corredate dal loro epiteto (il vago acanto, la bella clizia, il papavero vermiglio, etc.).

La poesia barocca utilizza un’ampia gamma di animali, canonici e non (il fiero leone, la giovenca, la civetta, il parpaglione, etc.). Nel Lubrano ci sono il baco da seta e la lucciola.

La prosa scientifica aveva descritto con interesse il regno animale anche in alcune delle sue forme repellenti, come le vipere e i vermi. I poeti barocchi non furono da meno e arrivarono a utilizzare gli stessi strumenti della scienza, sfruttando le più aggiornate ricerche zoologiche per attingere nuovo lessico.

Marino, nell’Adone, usa il lessico dell’anatomia, ricavato dai trattati anatomici del tempo, in modo da celebrare i “sensi” e la “macchina” umana. Altre ottave dell’Adone utilizzano la descrizione della luna fatta da Galileo, fino a concludere coll’elogio del “picciol cannone” con i suoi “due cristalli” (il cannocchiale galieleiano, appunto).

Un consistente filone della poesia barocca che fa capo a Marino utilizza dunque il lessico scientifico. Sempre Marino, nell’Adone, parla anche dell’anatomia dell’occhio umano, usa parole come nervi, orbicolare, pupilla e cristallo, anche se questo lessico, nuovo nella poesia, viene poi utilizzato nel contesto del tradizionale linguaggio poetico nobile.

Il suo è un poema, ma anomalo poiché comprende una certa varietà di generi.

La presenza del lessico scientifico nella poesia di Marino conferma dunque la tendenza al rinnovamento. Nell’Adone entra l’attualità: il cannocchiale, le lodi a Galileo.

Vengono usati cultismi, grecismi, latinismi, non di rado di provenienza scientifica.

6. LE POLEMICHE CONTRO L’ITALIANO

A partire dalla fine del ‘600 si sviluppò e prese piede il giudizio sul cattivo gusto del Barocco. Tale giudizio fu costantemente ripetuto dagli illuministi del ‘700.

Proprio in Francia si condannava la letteratura del nostro paese e quella della Spagna.

Il padre Dominique Bouhours, un gesuita e grammatico francese, svolse in due opere la tesi secondo la quale, tra i popoli d’Europa, solo ai francesi poteva essere riconosciuta l’effettiva capacità di parlare; di contro, gli spagnoli declamavano e gli italiani sospiravano.

Lo spagnolo era accusato di magniloquenza retorica, l’italiano di sdolcinatezza poetica.

A vantaggio del francese, secondo Bouhours, giocava la vicinanza della prosa e della poesia, indice di “razionalità”; Bouhours voleva promuovere il francese a lingua universale, lingua di tutto il mondo, nuovo latino.

La lingua italiana veniva bollata come incapace di esprimere in modo ordinato il pensiero umano e quindi veniva confinata nel suo orticello poetico. Ci si avviava dunque ad attribuire a ogni idioma un carattere fisso, considerato arbitrariamente come “strutturale”.

La risposta alle tesi di Bouhours tardò a venire.

7. LA LETTERATURA DIALETTALE E LA TOSCANITA’ DIALETTALE

Nei secoli XVI-XVII si ha la nascita di una letteratura dialettale cosciente di essere tale, volontariamente contrapposta alla letteratura in toscano.

Va osservato che la tradizione letteraria italiana è caratterizzata dalla grande vitalità della letteratura in dialetto.

Rappresenta una forma di dialettalità anche la manifestazione marcata del gusto per la lingua toscana viva e popolare. In Michelangelo Buonarroti il Giovane, pronipote del grande Michelangelo, si ritrovano nei versi delle sue due opere teatrali in versi (La Tancia e La Fiera, 1611-1619) termini toscani popolari e rari che interessano molto il linguista.


Поделиться:



Последнее изменение этой страницы: 2019-06-19; Просмотров: 228; Нарушение авторского права страницы


lektsia.com 2007 - 2024 год. Все материалы представленные на сайте исключительно с целью ознакомления читателями и не преследуют коммерческих целей или нарушение авторских прав! (0.035 с.)
Главная | Случайная страница | Обратная связь