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CAPITOLO DECIMO – QUADRO LINGUISTICO DELL’ITALIA ATTUALE



1. DOVE SI PARLA ITALIANO

E’ facile incontrare persone che lo comprendono, nel Nizzardo e nel Principato di Monaco, nei territori delle ex colonie italiane, nell’ex protettorato di Rodi, in Istria, in alcune località della Dalmazia e a Malta. Alla televisione si deve anche la recente influenza dell’italiano in Albania.

L’italiano è parlato da circa 58 milioni di persone, quindi, e da oltre 300000 in Svizzera.

2. GLI ALLOGLOTTI

Entro i confini politici della Repubblica italiana sono presenti alcuni gruppi alloglotti (dal greco allos, altro e glotta, lingua), di origine romanza e non romanza.

In maniera più precisa, parliamo inoltre di propaggini o penisole di alloglotti quando aree linguistiche più grandi, situate al di fuori del nostro territorio nazionale, si estendono in parte anche all’interno dei nostri confini. Usiamo il concetto di isole linguistiche per indicare comunità di alloglotti che sono molto piccole e isolate (greci e albanesi).

Oggi la legge 482 del 1999 tutela le minoranze albanesi, catalane, greche etc.. Molti alloglotti parlano lingue del gruppo romanzo. In Piemonte occidentale si hanno propaggini provenzali, in Valle d’Aosta franco-provenzali.

Nello Statuto speciale per la Valle d’Aosta, l’art. 38 stabilisce: “Nella Valle d’Aosta la lingua francese è parificata a quella italiana”.

Nella valli alpine dolomitiche che fanno corona al Gruppo del Sella, si trovano le parlate della cosiddetta sezione centrale dell’area ladina. Lo Statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige, nell’art. 87, decreta che l’insegnamento del ladino è garantito nelle scuole elementari delle località dove è parlato.

Accanto al ladino, anche il sardo può essere considerato dal punto di vista glottologico una lingua vera e propria, per le sue particolari ed uniche caratteristiche all’interno del gruppo romanzo (basti pensare alla derivazione degli articoli so, sa). Coloro che parlano il sardo sono circa un milione.

Si parla di isole linguistiche quando ci si trova in presenza di comunità caratterizzate da una loro specifica diversità, ma numericamente molto ridotte, isolate e geograficamente circoscritte a un territorio piccolissimo.

Ad Alghero, in Sardegna, ad esempio, la popolazione è catalana in seguito alla conquista militare della città da parte di Pietro IV d’Aragona (1354). Per la ribellione della città, la popolazione originaria fu allontanata e sostituita da un contingente di catalani. A Guardia Piemontese (CS) ci sono i resti di una antica colonia valdese di lingua provenzale.

Accanto ai gruppi alloglotti romanzi, abbiamo quelli non romanzi. Ci sono propaggini tedesche, che hanno grande importanza, come nel Sud Tirolo e in special modo nella provincia di Bolzano.

Il tedesco ha qui lo status di lingua ufficiale accanto all’italiano e viene insegnato a scuola come prima lingua agli appartenenti alla comunità tedesca, i quali imparano l’italiano come lingua seconda. In provincia di Bolzano la toponomastica è attualmente bilingue.

Al gruppo vallese (i Walser) appartengono invece le comunità tedesche del Piemonte e della Valle d’Aosta, insediatesi nel Medioevo alla testa delle valli attorno al Monte Rosa: la comunità di Gressoney, di Alagna e di Macugnaga.

Grande interesse tra gli studiosi hanno sempre suscitato le due colonie greche presenti nel territorio italiano. L’una è in Calabria, nelle località di Bova, Condofuri e Rogudi, sulle pendici dell’Aspromonte. L’altra è nel Salento.

Le propaggini slave erano molto importanti prima dell’ultima guerra, ma si sono ridotte notevolmente quando l’Istria passò a quella che era allora la Jugoslavia. Rimangono in territorio italiano alcuni gruppi sloveni nelle province di Udine, Gorizia e Trieste.

Ci sono inoltre alcune antiche colonie slave (serbo-croate) nel Molise.

Vi sono in Italia numerose antiche colonie di albanesi. Sono distribuite tra la provincia di Campobasso e l’estremità settentrionale della provincia di Foggia.

3. AREE DIALETTALI E CLASSIFICAZIONE DEI DIALETTI

Da gran tempo si è posto il problema (lo si trova per la prima volta del De vulgari eloquentia di Dante) della classificazione delle aree dialettali. In Italia vi sono tre aree diverse, la Settentrionale, la Centrale e la Meridionale, separate da due grandi linee, la La Spezia –Rimini e la Roma-Ancona.

La linea La Spezia-Rimini fu la frontiera etnica fra i popoli gallici e l’elemento etrusco; in seguito fu la frontiera che divideva l’arcidiocesi di Ravenna dall’Arcidiocesi di Roma.

Nelle parlate dialettali, a nord di questa linea, si ha:

1) l’indebolimento (sonorizzazione o caduta) delle occlusive sorde in posizione intravocalica (fradel invece che fratello, formiga o furmia invece di formica).

2) Lo scempiamente delle consonanti geminate (spala per spalla, gata per gatta, bela per bella).

3) La caduta delle vocali finali (an per anno, sal per sale) eccetto la a che resiste.

4) La contrazione delle sillabe atone (slar per sellaio, tlar per telaio).

La linea Roma-Ancona invece dà altri risultati. Al di sotto infatti arrivano:

1) la sonorizzazione delle consonanti sorde in posizione postnasale (mondone per montone, angora per ancora).

2) La metafonesi delle vocali toniche e ed o per influsso di i e u finali (acitu per aceto, e il dittongo metfonetico dienti per denti).

3) L’uso di tenere al posto di avere.

4) L’uso del possessivo in posizione proclitica (figliomo per “figlio mio”).

La classificazione delle aree dialettali non è in realtà una cosa semplice. Non sempre i confini sono chiari e univoci. Molto forte è la variabilità dei dialetti, che mutano da luogo a luogo, anche all’interno di una stessa regione o di una stessa città.

4. GLI ITALIANI REGIONALI

Le varietà di italiano, dipendenti dalla distribuzione geografica, dall’influenza esercitata dai dialetti locali, prendono il nome tecnico di varietà diatopiche dell’italiano o di varietà regionali di italiano, o italiani regionali.

La caratterizzazione più evidente e immediata dei vari italiani regionali si ha a livello di pronuncia. Quattro sono le principali varietà di pronuncia dell’italiano: la varietà meridionale, la varietà settentrionale, la varietà toscana e la varietà romana.

Roma, accogliendo molti elementi estranei, ha nello stesso tempo influenzato le altre varietà attraverso la radio, il cinema, la televisione. Parole come abboccarsi, caciara, fasullo, frocio, inghippo e intrallazzo sono entrate nel vocabolario.

L’italiano è una lingua che per tradizione è ricca di termini ufficiali, elevati, letterari, ma quando si passa a un contesto familiare e domestico le differenze regionali si fanno marcate. Si possono ricordare a questo proposito le denominazioni della tazza senza manico, che al Nord è scodella, in Toscana è ciotola, ma è anche tazza, soprattutto al Sud.

5. ITALIANO, FIORENTINO E TOSCANO

Il toscano è la parlata regionale che più si avvicina alla lingua letteraria, poiché la lingua letteraria deriva appunto dal toscano trecentesco. Il toscano ha avuto una posizione privilegiata. Firenze è stata considerata la città in cui si poteva imparare a conversare nella lingua migliore. Fra le altre parlate toscane, ha goduto di un certo prestigio culturale quella senese.

L’italiano ha in comune con il fiorentino classico:

1) l’anafonesi.

2) La dittongazione di e e o del latino.

3) Il passaggio di e atona protonica a i (nipote diventa nipote, dicembre dicembre, etc.).

4) Il passaggio di ar atono a er nel futuro della prima coniugazione (amarò-amerò), il passaggio di rj intervocalico a j (gennaio-gennaro).

5) L’italiano, inoltre, non conosce (come il fiorentino) la metafonesi, presente e diffusa nei dialetti settentrionali e meridionali.

Vi sono elementi che distinguono il fiorentino dall’italiano. Il più vistoso è la cosiddetta gorgia, cioè la spirantizzazione delle occlusive sorde intervocaliche, per cui amico viene pronunciato amiho.

Un’altra caratteristica che distingue oggi il fiorentino dall’italiano comune è la tendenza alla monottongazione di uò: buono e nuovo sono in Toscana bòno e nòvo.

LETTURE CONSIGLIATE

1. LA RIFLESSIONE ANTICA SULLA FORMAZIONE DELL’ITALIANO

Il più antico trattato in cui vennero affrontati temi storico-linguistici è il De vulgari eloquentia di Dante, che risale all’inizio del ‘300. In esso si trova una interessantissima rassegna delle varietà di volgare parlate nella penisola italiana e anche un esame della tradizione poetica nella nuova lingua. Si può affermare che una vera tradizione di studi sulla storia della lingua ebbe inizio con gli umanisti della prima metà del ‘400.

Secondo Biondo Flavio, il latino di era corrotto per una causa esterna: la venuta dei popoli barbari. Secondo l’umanista fiorentino Leonardo Bruni, al tempo di Roma antica non si parlava un latino omogeneo, poi corrottosi con la barbarie, ma c’erano già due diversi livelli di lingua, uno “alto”, letterario, l’altro “basso”, popolare. Da quest’ultimo si sarebbe poi sviluppato l’italiano.

Lodovico Castelvetro (1505-1571) spiegò come al tempo di Roma antica doveva essere esistito un latino popolare (la lingua vulgare latina), il quale nella grammatica non differiva dal latino vero e proprio; il lessico però era diverso da quello del latino nobile.

Queste parole del latino popolare erano poi sopravvissute nell’italiano, in una sostanziale continuità. Il senese Celso Cittadini, autore del Trattato della vera origine e del processo e nome della nostra lingua (1601), tendeva a escludere che le invasioni barbariche avessero avuto importanza per lo sviluppo della lingua italiana.

Nei documenti epigrafici Cittadini potè identificare e descrivere una serie di errori o devianze linguistiche rispetto alla norma del latino classico non soltanto in testi successivi alle invasioni barbariche, ma anche in lapidi arcaiche e di epoca imperiale.

Ludovico Antonio Muratori, storico e ricercatore accanito di documenti archivistici, aveva il desiderio di trovare in Italia qualche cose di paragonabile al primo documento della lingua francese, il Giuramento di Strasburgo dell’842.

Il Giuramento di Strasburgo, per la sua antichità, sembrava appartenere ad una fase in cui il latino non esisteva più come lingua viva, ma d’altra parte non esistevano ancora le lingue moderne. Fu considerato dunque come appartenente a una lingua intermedia.

Muratori però non credette mai ad un ipotesi del genere. Era convinto che le lingue germaniche avessero avuto un peso determinante nella trasformazione del latino, che la “lingua intermedia” non fosse mai esistita.

Tra il latino classico e il moderno francese, dunque, alcuni studiosi collocarono l’ipotetica lingua intermedia o romana.

All’inizio dell’800 uno studioso e lessicografo piemontese, Giuseppe Grassi, progettava un libro di storia della lingua italiana: nasceva l’idea che la storia linguistica fosse parte della storia della civiltà nazionale, oltre che base della storia letteraria.

2. DALLA LINGUISTICA PRESCIENTIFICA ALLA LINGUISTICA SCIENTIFICA

Friedrich Schlegel pubblicò nel 1808 un saggio in tedesco intitolato Sulla lingua e la sapienza degli Indù, nel quale venivano mostrati i rapporti che intercorrono tra le lingue d’Europa e il sanscrito (la lingua sacra dell’India). Si dice di solito che con questo libro nacque il moderno comparativismo.

Quanto alla separazione tra linguistica prescientifica e scientifica, sono stati gli Schlegel stessi a fissare tale distinzione, presentando un’immagine molto negativa degli studi precedenti.

Secondo gli Schlegel le lingue possono essere di tre tipi:

1) senza struttura grammaticale (cinese, con parole immutabili, con radici sterili).

2) Ad affissi (indigeni d’America, permettono la combinazione di composti).

3) Flessive (sanscrito, latino, greco, idiomi europei, sistema grammaticale strutturato).

Nelle lingue flessive, la desinenza, unendosi alla radice, permette di esprimere molte idee con poche parole, a differenza di quanto accade nelle lingue delle categorie 1) e 2).

Stabilito il principio della superiorità delle lingue indoeuropee flessive, Schlegel introduceva un’altra distinzione tipologica, tra le lingue sintetiche e le lingue analitiche.

Le caratteristiche delle lingue analitiche venivano individuate nella presenza dell’articolo, nei pronomi davanti ai verbi, nell’uso degli ausiliari nella coniugazione dei verbi, nelle preposizioni adoperate per supplire all’uso dei casi. Le lingue analitiche, secondo Schlegel, erano nate dalla decomposizione delle sintetiche.

La formazione di una grammatica analitica al posto di quella sintetica era spiegabile con l’influenza esercitata dai barbari e dai provinciali, incapaci di usare in maniera corretta le desinenze e i casi del latino classico.

Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907) fu il primo a dare una descrizione accurata e completa della distribuzione dei dialetti italiani e delle loro caratteristiche, in uno studio, rimasto classico, intitolato L’Italia dialettale.

Rielaborò inoltre la teoria del sostrato, in base alla quale veniva stabilita l’importanza dell’azione svolta dalle lingue vinte su quelle dei vincitori.

Secondo Ascoli, un popolo conquistato perde, in certe condizioni, la propria lingua, ma assoggetta la lingua del vincitore alle abitudini del proprio organo vocale.

Ascoli attribuiva all’influenza del sostrato celtico prelatino la presenza in alcuni dialetti italiani della vocale turbata U (la u alla francese).

Nel proemio all’Archivio Glottologico, egli polemizzò anche contro la soluzione manzoniana alla questione della lingua. Dimostrò che l’unificazione italiana non era avvenuta secondo il modello centralista proprio del latino e del francese.

3. I MANUALI DI STORIA DELLA LINGUA ITALIANA

Nel XIX secolo, in tutta Europa, seguendo il modello della Germania, furono istituite cattedre di glottologia e di linguistica comparata.

Molto più recente è invece la definizione della “storia della lingua italiana” come disciplina universitaria autonoma (1938, Facoltà di Lettere di Firenze).

La prima sintesi completa di storia della nostra lingua fu portata a termine da Giacomo Devoto, che nel 1940 pubblicò una Storia della lingua di Roma, e in seguito nel 1953 un sintetico Profilo di storia della lingua italiana.

Migliorini invece volle che l’opera più importante della sua carriera di studioso (Storia della lingua italiana) uscisse nel 1960, in coincidenza con il millenario della lingua italiana (960 era la data del Placito Capuano.

L’articolazione del manuale di Migliorini è la più neutra possibilee, per secoli, con poche eccezioni (sulle Origini e su Dante, padre fondatore).

Nel 1938 apparve un suo volumetto intitolato Lingua contemporanea. Nella prefazione, l’autore osservava che ormai la critica letteraria aveva acquisito come fatto certo che fosse legittimo lo studio degli autori contemporanei, superando il pregiudizio che solo gli antichi fossero degni di attenzione.

La Storia linguistica dell’Italia unita di Tullio De Mauro, uscita nel 1963, si fregia dell’uso rilevante di dati statistici ed economici. La storia della lingua viene così collegata ancora più strettamente alla sfera sociale. Risulta quindi che l’unificazione linguistica è stata favorita dall’emigrazione, dall’urbanesimo, dalla nascita di grandi poli industriali, dalla diffusione della stampa, della radio, della televisione, dalla burocrazia e dagli effetti del servizio militare obbligatorio.

Dopo l’uscita del manuale di Migliorini, in diverse occasioni gli studiosi si posero il problema di realizzare una storia linguistica nella quale trovassero adeguato spazio i caratteri di una nazione come l’Italia, con la sua grande quantità di vivaci centri culturali, con la sua grande quantità di dialetti, in vario modo entrati in contatto con la lingua nazionale. Tra i primi studiosi che hanno voluto restituire un quadro della storia linguistica italiana variato e attento alla periferia, si deve ricordare Alfredo Stussi, con il suo Lingua, dialetto e letteratura.

Francesco Bruni ha progettato e guidato la realizzazione di un’opera di grande mole, intitolata appunto L’italiano nelle Regioni, in due tomi, uno di monografia, l’altro di testi commentati. Le varie sezioni dell’opera sono dedicate ciascuna alla storia dell’italiano in una regione della penisola. Ogni monografia regionale è stata affidata ad un singolo specialista. Sono presenti monografie anche su Malta, Dalmazia, Canton Ticino e Corsica.

Luca Serianni e Pietro Trifone hanno coordinato un’importante Storia della lingua italiana in tre volumi, con una serie di monografie, sempre affidate a singoli specialisti, raggruppate secondo analogie tematiche. Dei tre volumi, il primo, I luoghi della codificazione, contiene studi che hanno per oggetto la storia della nostra grammatica, della lessicografia, della grafia, delle teorie linguistiche, la lingua letteraria. Il secondo volume, Scritto e parlato, comprende saggi sull’italiano dei semicolti, sulla lingua del teatro, sull’italiano contemporaneo, sul parlato del cinema e della televisione, etc.

Il terzo volume infine, Le altre lingue, contiene il capitolo dedicato ai più antichi documenti dei volgari italiani e anche una serie di profili dei volgari medievali.

Il volume contiene poi uno studio dell’uso letterario dei dialetti, sul dialetto nella scuola, nella giustizie, nella chesa, etc; inoltre si parla dei movimenti migratori e dell’influsso esercitato sull’italiano dalle altre lingue.

4. STRUMENTI DI LAVORO NELLE DISCIPLINE AFFINI

Il volume di C. Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine. Introduzione alla filologia romanza, si apre con un capitolo che traccia una rapida storia degli studi dal comparativismo in poi. Segue un capitolo dedicato al sostrato preromano.

Seguono quindi capitoli che trattano le trasformazioni del latino nell Impero romano, e dopo un esame delle caratteristiche del “latino volgare”, viene descritta la formazione delle lingue romanze e vengono presentati i loro più antichi documenti scritti.

Un manuale assai originale e innovativo è L’introduzione alla filologia romanza di Lorenzo Renzi, meno noioso e più moderno rispetto agli altri, che rivolge attenzioni anche per le idee linguistiche del passato.

Fino a poco tampo fa il concetto stesso di filologia si identificava con lo studio della tradizione manoscritta, oggi è nata anche una filologia dei testi a stampa. Si aggiunga che lo studio dei testi popolari, orali o stampati, rende ancora più complesso e variegato l’interesse per le questioni filologiche.

Chi si occupa di testi antichi, dovrà per forza acquisire conoscenze nel campo della paleografia, la disciplina che studia la storia della scrittura.

5. LA GRAMMATICA DELL’ITALIANO

La grammatica non nasce prima che le lingua abbiano espresso una tradizione letteraria.

Tra le grammatiche vi sono due manuali di riferimento, La grammatica italiana di Serianni e Castelvecchi, e la Grande grammatica italiana di consultazone di Lorenzo Renzi, Giampaolo Salvi e Anna Cardinaletti.

La Grammatica italiana di Serianni e Castelvecchi è uscita nel 1988, e fornisce norme e indicazioni pratiche. Serianni ha saputo ricucire l’anima linguistica moderna e quella antica, inserendo anche sovente delle notazioni relative all’uso del passato. Perciò è utilizzabile anche come grammatica storica.

La Grande grammatica italiana di consultazione ha una struttura innovativa: la trattazione inizia con la frase e poi scende via via alle parti del discorso anziché viceversa.

La “grammatica storica” si occupa di descrivere le regole nel loro mutamento, a partire dalla formazione della lingua volgare. Non dà le regole della lingua in atto, ma chiarisce lo sviluppo della fonetica, morfologia e sintassi e ne segue gli sviluppi.

Tale tipologia si è sviluppata nella seconda metà dell’800 e i primi esempi di grammatica storica dell’italiano sono l’Italienische Grammatik dello svizzero Meyer Lubke e la Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti del tedesco Gerhard Rohlfs.

6. DIZIONARI, CONCORDANZE E CORPORA ELETTRONICI

Il più importante dizionario storico della lingua italiana è noto come il “Battaglia”, dal nome del suo fondatore, filologo romanzo. Egli ripropone, aggiornandolo, il più grande dizionario dell’800, quello di Tommaseo.

Sotto la direzione successiva di Barbieri Squarotti il Grande Dizionario della Lingua Italiana ha assunto una fisionomia definitiva, con i suoi 21 volumi e una vastissima raccolta di esempi di scrittori. Gli autori contemporanei sono citati con larghezza.

Oltre ai vocabolari, uno strumento di ricerca lessicale sono le concordanze, in cui sono raccolte tutte le parole utilizzate da un determinato autore ordinate in chiave alfabetica, quasi sempre con il contesto in cui la parola stessa compare. Oggi, però, l’idea stessa di concordanza è rivoluzionata dall’uso degli strumenti dell’informatica.

I dizionari storici documentano il passato della lingua, la sua storia ed evoluzione, mentre quelli dell’uso informano sulla lingua moderna, al suo stato attuale.

I due grandi dizionari dell’uso sono oggi il vocabolario della lingua italiana diretto da Aldo Duro (Treccani) e il Grande dizionario italiano dell’Uso diretto da Tullio De Mauro (Gradit).

7. DIZIONARI ETIMOLOGICI

Il dizionario etimologico dà conto dell’origine delle parole di una lingua, suggerendo la loro etimologia. Il DELI, Dizionario etimologico della lingua italiana di Cortellazzo-Zolli (Zanichelli) dà prima di tutto la definizione della parola. Segue la prima attestazione, con riferimento al testo o all’autore, e quindi vi è la trattazione etimologica vera e propria, che si allarga spesso ad una sintetica storia del termine, del suo uso, delle varie accezioni e dei diversi significati, talora con rinvii bibliografici.

 


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